Nessun limite all’outdoor?
Riflessioni a margine del convegno organizzato a Finalborgo il 25 novembre dal Club Alpino Italiano – Regione Liguria
Quali i limiti dell’outdoor? Titolo stimolante quello del convegno organizzato, domenica 25 novembre, nella località che è diventata la “Portofino” dell’arrampicata e, ultimamente, anche della mountain bike: Finalborgo, il nucleo nobile di Finale Ligure.
Stimolante perché prometteva di dare seguito a un paio di articoli usciti poco più di un anno prima su Savonanews. In uno di questi si ventilava la possibilità che, per affrontare le problematiche legate alla sentieristica, venisse creata una Commissione Sentieri in seno al Comune; nell’altro si dava notizia della proposta di Maurizio Palazzo, presidente della Sezione CAI di Finale, volta a istituire delle piste a gestione privata per la pratica della mountain bike.
Questo perché a Finale ormai esiste un serio problema di convivenza tra i percorsi dedicati al segmento gravity-down hill e quelli frequentati da escursionisti, cicloturisti e via discorrendo, con «i connessi potenziali pericoli per l’incolumità degli utenti», e – aspetto non meno importante – con i relativi effetti collaterali legati alla manutenzione dei tracciati.
Secondo Palazzo, «gestire gli spazi in maniera coerente andrebbe prima di tutto a vantaggio di chi lo sta facendo già o sta cercando di farlo ed è vittima di fenomeni di abusivismo: arrivano furgoni di atleti da tutto il mondo che spesso purtroppo non esprimono alcun riconoscimento neanche morale, nemmeno un semplice grazie, verso chi si adopera per la sentieristica, lasciando tutto non proprio come l’hanno trovato».
Convegno stimolante, dunque, perché, alla luce di queste premesse, lasciava intravedere l’intenzione di voler ragionare in concreto intorno a questioni spinose che anche altre realtà – ad esempio le valli cuneesi – prima o poi, si troveranno a dover in qualche misura fronteggiare, visto quante risorse si stanno investendo nell’outdoor – inteso ahimé nell’accezione più ampia possibile del termine – individuato come il volano dell’economia del territorio.
(Volano che si può trasformare in un boomerang, perché – per una località che punti a diventare una “destinazione” – la madre di tutti i problemi è il successo. Parola di Luigi Gaido, docente di marketing territoriale e sviluppo turistico.)
E invece… E invece molti relatori hanno offerto interessanti spunti di riflessione, altri si sono limitati a fare una “comparsata politica”, ma nel merito del “problema Finale” (tranne, a margine, Henry De Santis, archeologo, che ha sottolineato come il comportamento inaccettabile di molti arrampicatori sia incompatibile con la tutela delle grotte e delle pareti del Finalese) nessuno ha voluto o potuto entrare.
Essendo un convegno organizzato dal CAI Regione Liguria, si è parlato molto di Bidecalogo, autoregolamentazione, educazione, informazione, ma in maniera alquanto astratta. Senza entrare nel vivo della questione.
Anzi, paradossalmente, ha chiuso la carrellata degli interventi ufficiali un rappresentante dei bike service di Finale, il quale in sostanza ha negato l’esistenza di un “conflitto” con i biker.
Tarallucci e vino.
Allora perché tutto il centro storico è tappezzato di manifestini che dicono: “Welcome biker. Nell’attraversare il nostro borgo presta la massima attenzione”?
Cordiale invito seguito da un testo, non a caso in inglese, un po’ meno coinciso: “È bello per noi vedere tanti biker scorrazzare per i nostri sentieri. Ma visto che siete sempre più numerosi, è necessario che facciate attenzione quando cavalcate la vostra due ruote in modo da consentire a tutte le altre persone di potersene andare liberamente a spasso per il nostro antico piccolo borgo”.
Forse perché i novelli cavalieri medievali che – con le loro belle armature – arrivano in massa dall’estero non frequentano corsi di cicloescursionismo e di etica CAI prima di lanciarsi a capofitto lungo le discese mozzafiato di quello che viene promozionato come un resort dell’outdoor?
Se il compito del Club Alpino Italiano non è quello di imporre limiti e divieti, se la missione degli operatori non è quella di arginare la produzione di adrenalina dei propri ospiti, se l’intenzione degli amministratori non è quella di inimicarsi un elettorato che vive di turismo, a chi tocca affrontare il problema di gestire una fruizione poco rispettosa del territorio?
Come ha detto Maurizio Palazzo in apertura dei lavori, nessun imprenditore distrugge le macchine con cui produce.
Chi vuole intendere intenda.
enrica raviola