Alla scoperta della Costa delle Miniere
La descrizione, tappa per tappa, del trekking compiuto lo scorso maggio da alcuni soci della Sottosezione Valbormida lungo la costa sud-occidentale della Sardegna
Sardegna Sud Ovest, 6 -13 maggio 2023
Se vai in Sardegna per una vacanza o per un trekking, ti consigliamo di prepararti
a un viaggio forse un po’ diverso da quello che i luoghi comuni prospettano.
Mentre riempi la valigia, pensando a vento, mare, spiagge e rocce, svuota la mente
dai racconti degli amici e dalle aspettative preconcette.
La Sardegna, quella vera e segreta, esalta i sensi e coinvolge emotivamente.
Preparati a essere esploratore in superficie e minatore
nelle profondità delle menti e dei cuori.
Il momento della partenza è arrivato. Il gruppo allegro e variegato, con il volo diretto da Cuneo-Levaldigi a Cagliari e un breve trasferimento in pullman, giunge a Iglesias, punto di partenza delle tappe del nostro trekking.
Ad attenderci c’è Lino Cianciotto, la guida che ci accompagnerà alla scoperta della Costa delle Miniere,. Un personaggio davvero speciale (!) che vi presenteremo tra poco…
Con il suo aiuto scopriamo un’elegante cittadina che mantiene vivo il ricordo di Quintino Sella, sì, proprio lui, “iddu”, il fondatore del Club Alpino Italiano.
E che c’entra Sella con la Sardegna? C’entra, c’entra moltissimo… Tra l’altro, proprio a Iglesias, grazie a lui fu aperto l’Istituto Minerario, ancora oggi in attività.
E il giorno dopo, via! Zaino in spalla, inizia l’avventura.
PRIMA TAPPA
Portoscuso-Plagemesu
Sviluppo 12 km, dislivello 107 m, tempo di percorrenza 7-8 ore
Si parte dalla scogliera che guarda le isole di Sant’Antioco e San Pietro in direzione del promontorio di Capo Altano con rocce vulcaniche di diversi tipi e colori. Il sottosuolo racchiude il più importante giacimento carbonifero d’Italia. Nelle acque limpidissime si osservano le reti della tonnara.
Si cammina nella fiorita e profumata macchia mediterranea fino alla panoramica vedetta in pietra di Sa Crobettana. L’itinerario prosegue fino a Capo Giordano incrociando piccole valli. Tra cespugli e secolari ginepri si raggiunge la spiaggia di Bega S’Acqua. Si torna verso l’interno attraversando dune sabbiose e si scorgono i ruderi della torre spagnola seicentesca di Porto Paglia, dove sorgeva un villaggio di pescatori. Attraverso la spiaggia si giunge a Plagemesu.
CHE TONNI!
In Sardegna attualmente sono attive quattro tonnare, tutte concentrate tra Porto Paglia e Cala Vinagra. A fine Ottocento sulla costa ovest se ne contavano venticinque.
Del tonno si utilizza tutto, come si fa con il maiale. La specie più pregiata è il tonno blue fin (Thunnus thynnus) o tonno rosso di corsa. La nostra cena speciale a Carloforte ci ha consentito di assaporarne le diverse parti: un’autentica sorpresa è stato il cuore salato servito a fettine sottili come antipasto.
In tarda primavera, dopo aver attraversato lo Stretto di Gibilterra, i tonni dall’Atlantico Settentrionale arrivano nel Mar di Sardegna e nelle sue acque calde ogni femmina depone milioni di uova.
Esemplari anche di 6-8 quintali e di oltre 3 metri di lunghezza vengono catturati con reti fisse piazzate sott’acqua, un labirinto suddiviso in “camere” più o meno grandi in cui perdono la rotta, fino a che, costretti a muoversi dall’una all’altra, raggiungono quella della “morte”.
SECONDA TAPPA
Nebida-Cala Domestica
Sviluppo 16 km, dislivello 145 m, tempo di percorrenza 8/9 ore
A Nebida l’occhio spazia sui suggestivi panorami del litorale. Dal mare turchese ricco di aragoste spiccano i cinque faraglioni. Il più imponente è il Pan di Zucchero che si staglia con i suoi 133 metri a strapiombo sul mare ed è considerato lo scoglio più grande del Mediterraneo.
Dal Belvedere si cammina per un tratto nel centro abitato superando il villaggio residenziale di Tanca Piras fino a un sentiero che si affaccia sul mare e da qui in direzione dell’insenatura di Portu Banda, piccola cala caratterizzata da una spiaggetta pietrosa lunga un centinaio di metri e da scogliere di puddinga ordoviciana color vinaccia. Da qui il tracciato segue la costa fino alle cale di Portu Ferro e Portu Corallo attraversando esposti versanti rocciosi di roccia policroma.
Proseguendo si raggiunge Masua con i ruderi ottocenteschi dei magazzini della miniera e il piccolo molo dove attraccavano le bilancelle per il trasporto a Carloforte di galena argentifera. La zona tra Nebida e Masua ha ricchi giacimenti del minerale accolti nella roccia calcareo dolomitica, e ancora oggi appaiono i segni antichi degli scavi.
Nel 1924 fu costruito Porto Flavia (dal nome della figlia del progettista, Cesare Vecelli) attivo fino al 1963. Il minerale di piombo e zinco veniva imbarcato direttamente nelle stive dei piroscafi al ritmo di 400 tonnellate all’ora, completando il carico in mezza giornata.
Dalla spiaggia di Masua si risale il ripido sentiero ricco di fioriture di euforbia con vista sul litorale di rocce e linee sabbiose delle spiagge di Funtanamare e Porto Paglia fino alla costa vulcanica di Capo Altano. Lungo il cammino si notano tracce di scavi minerari e resti di una piccola teleferica; vene di bianco solfato di bario contrastano il grigio calcare e gli strapiombi che guardano il Pan di Zucchero. Da qui, attraverso uno splendido bosco di ginepro turbinato, si scende fino a raggiungere il Canal Grande con la spettacolare galleria naturale di oltre 100 metri di lunghezza che attraversa l’intera scogliera ricca di testimonianze fossili depositate nei calcari e nelle arenarie del periodo Cambriano.
Il sentiero risale poi ripido fino all’altopiano di Punta Cubedda. Attraverso antichi sentieri creati dai carbonai e dai taglialegna, dalle capre e dai minatori in cerca di vene mineralizzate si gode la vista degli strapiombi verso la baia di Portu Sciusciau. In distanza si distingue la torre spagnola di Cala Domestica, costruita per contrastare le incursioni dei pirati. Si continua scendendo facilmente alla spiaggia della cala con dune sabbiose e ruderi minerari.
CHE GUIDA!
La descrizione delle prime due tappe evidenzia un percorso non consueto e non sempre agevole come quello consigliato dalle indicazioni classiche: il Cammino di Santa Barbara (patrona dei minatori). La nostra guida, Lino Cianciotto, ci ha spiegato che quel tracciato passa spesso nell’interno, privando delle emozioni della costa selvaggia e delle grandiose falesie.
Di buon grado lo abbiamo seguito e siamo stati pienamente soddisfatti. Il nostro accompagnatore è un uomo sorprendente. Al primo incontro il suo sorriso dolce e ironico ti fa sentire accolto e mai giudicato, capisci subito che di lui ti puoi fidare. Coinvolge con spiegazioni puntuali che denotano una profonda competenza storico scientifica oltre a una spiccata sensibilità sociale: non c’è argomento che lo metta in difficoltà. Pian piano ti fa sentire parte di un territorio ricco, generoso e sfruttato senza ritegno nel corso del tempo da diverse popolazioni. È sempre un passo avanti, agile e disinvolto, sia nei percorsi terreni sia in quelli mentali. È un organizzatore perfetto, sa scegliere mete particolari e studiare i tempi giusti, ma è aperto al confronto e alle esigenze del gruppo, perciò riesce a rimodulare proposte e programmi senza ridurne la valenza.
Lino è un professionista atipico perché nel suo lavoro profonde mente e cuore con grande energia ed empatia. Ha affrontato con forza le sfide della sorte e per tutto il nostro gruppo è un eccezionale esempio di vita… Bisogna conoscerlo!
Lino è fotografo, guida ambientale e si occupa di turismo integrato ecosostenibile e formazione.
Profondo conoscitore del territorio sardo, ha fondato Naturalmente Sardegna con la quale organizza esperienze escursionistiche per gruppi provenienti da ogni continente.
Il 3 febbraio 2013, durante un’escursione sulle alture di Buggerru, un masso di quasi una tonnellata si stacca dalla roccia e precipita rovinosamente sulla sua gamba destra.
Amputazione e protesi. In poco tempo, con una volontà inossidabile, Lino riprende la sua attività di guida ambientale e le sue passioni: speleologia, trekking, arrampicata, kayak, snorkeling, mountain bike, maratone no stop.
Nella propria autobiografia, Una guida in gamba, tra avventure estreme ed episodi venati di drammaticità e di umorismo insieme, Lino racconta la sua esperienza di “diversamente disabile”. Ne emerge il ritratto a tutto tondo di un uomo profondamente consapevole di sé, dei suoi limiti e delle sue possibilità.
TERZA TAPPA
Cala Domestica-Buggerru
Sviluppo 13 chilometri, dislivello 130 metri, tempo di percorrenza 7-8 ore
Da Cala Domestica si raggiunge la caletta di Portu Casu, quindi si risale per raggiungere la panoramica scogliera. Sul pianoro, a 100 metri di quota, la diffusa presenza di sabbia testimonia come la violenza delle onde e del vento riesca a trasportare in alto quantità non indifferenti di materiale prelevato dai fondali.
Il sentiero costeggia la scogliera tra rocce di dolomia scolpite in forme fantastiche dalle forze della natura.
Superate due vallette, si raggiunge sull’altopiano il “villaggio fantasma” di Planu Sartu. Accanto ai ruderi delle abitazioni è visibile l’enorme scavo minerario a cielo aperto. È facile immaginare la misera vita dei minatori e delle loro famiglie in questa zona arida dove le donne dovevano scendere quasi al mare per procurarsi l’acqua, mentre i “capi” la tenevano in grosse cisterne protette da sorveglianti armati.
Il percorso si dirige al margine della scogliera, meta degli arrampicatori sportivi. La vista spazia dallo svettante faraglione calcareo alla Galleria Henry a mezza costa. Fu costruita nel 1892 per facilitare il trasporto di minerali da Planu Sartu a Buggerru ed è lunga 927 metri.
Il cammino prosegue su una sterrata mineraria con vista sulla spiaggia di Portixeddu, sul promontorio granitico di Capo Pecora e su Buggerru.
Con il caschetto in testa, abbiamo percorso la Galleria Henry, siamo sbucati sulla scogliera a precipizio dove i gabbiani stavano allevando i loro piccoli batuffoli grigiastri e infine siamo ritornati al punto di partenza sul trenino del minatore.
Proseguendo abbiamo toccato Buggerru, i litorali di sabbia di San Nicolò e Portixeddu, segnati dalle acque del Rio Mannu che discendono dalle montagne di Fluminimaggiore.
LA PICCOLA PARIGI
Nel 1421 il territorio di Buggerru fu concesso in feudo da Alfonso d’Aragona al visconte Gessa che ne mantenne il dominio fino ai primi dell’Ottocento. La fondazione della città avvenne nel 1864 e le sue terre demaniali passarono dalla Società Millo e Ciarella ai Modigliani, nonni del celeberrimo pittore. I ricchi giacimenti di piombo e zinco attrassero capitali stranieri, in particolare francesi e nel 1867 fu costituita la Societé Anonyme de Mine de Malfidano che incrementò i lavori minerari attraendo migliaia di persone da tutta la Sardegna. In vent’anni furono costruite le laverie Buggerru, Malfidano e La Marmora.
Le condizioni di lavoro erano durissime: nelle gallerie i minatori (dai dodici anni in su) lavoravano sedici ore al giorno con tre di pausa, mentre le donne e i bambini a partire dall’età di cinque anni erano occupate nelle laverie. Quando un nuovo direttore della miniera, soprannominato “Su Bastardu” accorciò di un’ora la pausa, esplosero violenti scontri tra operai e dirigenti. Un tragico lutto, di cui si ebbe notizia oltre il Tirreno, diede vita al primo sciopero nazionale.
I dirigenti francesi soggiornavano sei mesi all’anno in una sontuosa villa con un ampio parco circondato da mura sorvegliate da uomini armati. Portavano tutto il necessario per una vita lussuosa dalla madre patria e Buggerru fu soprannominata “la piccola Parigi”.
A Buggerru si vide scorrazzare la prima automobile dell’isola, una Decauville targata 13, numero del distretto di Cagliari, e 1, perché era la prima immatricolata. Non avendo la retromarcia, veniva ricoverata in una casetta-garage e lì fatta ruotare per poter ripartire. Oggi si lavora per risanare il territorio e trasformarlo in meta turistica.
Nel pomeriggio abbiamo raggiunto la Grotta Su Mannau, nel comune di Fluminimaggiore. Situata in una zona carsica, si è creata nel periodo Cambriano (540 milioni di anni fa) ed è ancora in evoluzione. Il nome evoca le figure misteriose e malefiche che, nella cultura popolare, abitavano le cavità.
Dopo un breve tratto di sentiero in un bosco punteggiato di ciclamini selvatici, si arriva all’antro da cui, in tempi di piena, l’acqua esce con un forte getto. La sala d’ingresso è un tempio ipogeo fin dall’epoca prenuragica. Sono state ritrovate lucerne a olio legate ai riti del culto dell’acqua. La grotta era collegata al vicino Tempio di Antas mediante un sentiero tracciato dai Romani.
L’antro s’insinua per 8 chilometri nel cuore della terra attraverso due rami principali: quello sinistro è originato dal Fiume Placido, quello destro – che è il più sviluppato e ha andamento quasi orizzontale – è formato dal Fiume Rapido.
Si visitano tre livelli di profondità della grotta per un dislivello di 500 metri in circa un’ora, utilizzando passerelle sospese su sale, cascatelle e laghetti d’acqua limpidissima dove vive un gamberetto cieco e quasi trasparente (Stenasellus nuragicus). Si attraversano grandiose sale con enormi stalattiti e stalagmiti, tutte molto diverse per forme e colori. Sono sorprendenti le aragoniti coralloidi ed eccentriche, le concrezioni a fungo, le cascate calcaree e le forme fantasiose di dolomia orientate dal vento. Attraverso una scala si accede al belvedere: una colonna di sette metri troneggia al centro, unione di stalattite e stalagmite, il Pozzo Rodriguez attrae con i suoi ventitré metri di profondità.
QUARTA TAPPA
Capo Pecora-Scivu
Sviluppo 13 km, dislivello 210 m, tempo di percorrenza 7-8 ore
Capo Pecora è un promontorio granitico conosciuto dai locali come Corru Longu. Scopriamo i resti di un’antica torre nuragica molto esposta sul mare. La roccia è addolcita da una fioritura endemica color lilla (Solenopsis bacchettae) e termina con degli scoglietti su uno dei quali troneggia un cormorano. Volgendosi verso l’entroterra si notano qua e là nel verde insediamenti antichi – infatti, la zona fu abitata già nel periodo nuragico. Man mano che ci facciamo largo nella macchia mediterranea, la guida ci indica alcune tombe a cunicolo suddivise in settori per sepolture multiple.
Ci dirigiamo poi a nord e raggiungiamo la cala di Is Tramatzus detta anche Spiaggia delle Uova per via dei ciottoli ovoidali grandi come uova di struzzo. Si superano le alte e strapiombanti sculture di roccia granitica di Manago. Da qui alla Vedetta è un susseguirsi di panoramici camminamenti e ampie vedute verso l’altopiano di Perdas Albas, punteggiato di rocce di bianco granito e resti archeologici.
Dalla Vedetta, sede di una postazione ormai diroccata risalente alla seconda guerra mondiale, un impegnativo sentiero raggiunge la Spiaggia di Scivu, caratterizzata da alte dune sabbiose fossili circondate dalla selvaggia e profumatissima macchia mediterranea.
QUINTA TAPPA
Ingurtosu-Piscinas
Sviluppo 10 km, dislivello 398 m, tempo di percorrenza 5-6 ore
Si parte dal villaggio minerario di Pitzinurri con le abitazioni degli operai e la vicina Villa Wright, lussuosa dimora che nei primi anni del Novecento ospitava il vice direttore della miniera di Ingurtosu durante la gestione inglese.
Raggiunta la Chiesa di Santa Barbara, inaugurata nel 1916, e passati accanto alla stele che la popolazione ha dedicato a Lord Thomas Allnutt Brassey, benvoluto presidente della società mineraria inglese che nel 1899 acquisì la miniera, su asfalto si percorre il borgo di Ingurtosu fino a Palazzo della Direzione, fatto erigere a partire dal 1870 dall’ingegnere tedesco Johann Georg Bornemann, amministratore delegato della Societè Civile des Mines d’Ingurtosu et Gennamari, quasi a voler riprodurre lo stile bavarese del castello di Wartburg a Eisenach.
Al Palazzo è legato il ricordo di un fatto delittuoso. Il 9 febbraio del 1948, il giovane carabiniere Giulio Speranza fu ucciso insieme al capo delle guardie della miniera Vincenzo Caddeo durante una rapina a opera di un gruppo di malviventi armati che voleva appropriarsi dei diciotto milioni di lire destinati alle paghe degli operai.
Si procede tra le abitazioni della frazione mineraria alla volta di Pozzo Gal, costruito nel 1924 e intitolato all’ingegner Paul Gal.
Il cammino prosegue lungo il dismesso tracciato ferroviario in direzione della Laveria Pireddu. Si continua in quota e poi si scende un ripido versante per raggiungere Pozzo Lambert e da qui la Laveria Brassey, dei primi del Novecento, una delle più suggestive e significative icone del patrimonio architettonico del Parco Geominerario della Sardegna. Vi lavoravano oltre cento persone per il trattamento di quasi 500 tonnellate al giorno di piombo e zinco, inviate tramite ferrovia all’approdo di Piscinas.
Continuando per sentieri si raggiunge il grande deserto di rena gialla di Piscinas che, insieme a quello confinante di Scivu è considerato il deserto di sabbia più esteso d’Europa. La sua genesi è legata alle variazioni eustatiche durante l’Olocene a seguito delle glaciazioni, quando l’abbassamento del livello del mare lasciava scoperta un’ampia porzione di quelli che oggi sono fondali sabbiosi, e che all’epoca hanno fornito la materia prima ai prevalenti venti occidentali per formare le dune. Imponenti colline di sabbia si addentrano dalla costa per chilometri, punteggiate di macchia mediterranea e secolari ginepri, segnate da endemismi e biodiversità floreali (che splendore i papaveri gialli…), da sempre habitat del cervo sardo di cui abbiamo visto le impronte ma non udito il bramito: non era il periodo degli amori!
SESTA TAPPA
Isola di San Pietro-Carloforte
Sviluppo 6 km circa, dislivello 160 m, tempo di percorrenza 6 ore circa
A Portovesme imbarchiamo anche il pullman che ci accompagnerà per alcuni tratti.
La guida ci spiega che sull’isola non esiste acquedotto, i rifornimenti idrici sono garantiti da cisterne, i tetti sono a due falde per raccogliere l’acqua piovana. Le infrastrutture sono poche e i collegamenti tra le calette avvengono via mare.
San Pietro è rocciosa, ma anticamente, prima che gli alberi fossero abbattuti per costruire navi, era ricoperta da una folta foresta. Completamente abbandonata nel X secolo in seguito alle incursioni dei saraceni, nel 1737, con il sostegno di re Carlo Emanuele III che voleva colonizzare le terre ancora disabitate della Sardegna, fu popolata dagli abitanti – originari di Pegli – dell’isola tunisina di Tabarca, e negli anni successivi vide prima lo sbarco dei francesi, quindi delle truppe spagnole. Nel 1798 fu invasa dai pirati: più di ottocento calofortini furono fatti prigionieri e portati a Tunisi, dove, ridotti in schiavitù, rimasero fino al 1803, quando furono liberati anche per interessamento di Napoleone Bonaparte.
Iniziamo la visita da Cala Fico, propaggine sferzata dal maestrale a nord ovest dell’isola. È una spettacolare insenatura stretta fra le scogliere a strapiombo che alternano i colori scuri degli ossidi di ferro e quelli delle ocre gialle. Il territorio fa parte dell’Oasi LIPU di Carloforte, famosa per le specie rare di uccelli che vi nidificano o vi sostano durante la migrazione da e verso il continente africano.
Scendiamo a Capo Sandalo, estrema punta occidentale dell’isola che protende nel Mar di Sardegna una meravigliosa fantasia di rocce dorate sormontate da un bel faro ottocentesco tuttora in funzione.
Ci spostiamo verso Cala Spalmatore, in cui è inserita la Spiaggia della Caletta, la più estesa del versante occidentale dell’Isola di San Pietro, caratterizzata da fine sabbia bianca e circondata da scogli rossicci e da una vegetazione verdissima.
Ci spingiamo più a sud verso Cala Mezzaluna: una bastionata di falesie rosate cinge uno specchio di mare dalle trasparenze straordinarie. Nei giorni in cui soffia il maestrale, protette dalla scogliera, le sue acque svelano tutta la nitidezza dei fondali. Le rocce di origine magmatica sono testimoni dei fenomeni vulcanici verificatisi in questa parte dell’isola durante il periodo Oligo-Miocenico (tra 20 e 13 milioni di anni fa).
Proseguiamo per La Conca, all’estremità del lembo orientale del Golfo della Mezzaluna, al centro del versante meridionale dell’isola. La Conca è caratterizzata da una profonda spaccatura a mare tra le falesie di roccia chiara e offre uno dei più suggestivi spettacoli geologici di San Pietro.
Non ci facciamo mancare la passeggiata alle Colonne, coppia di faraglioni a guardia dell’estremo lembo sud dell’isola. La leggenda attribuisce loro un’origine miracolosa: un’ipotesi è che l’apostolo Pietro abbia trasformato due mostri marini in roccia per proteggere l’isola; secondo l’altra, una punizione divina avrebbe pietrificato una coppia di marinai. I pilastri, originariamente alti all’incirca 16 metri, negli ultimi anni hanno pesantemente subito l’azione demolitrice delle forti mareggiate che caratterizzano la costa meridionale dell’isola. Come conseguenza di ciò il faraglione più basso e più vicino alla costa oggi si trova dimezzato avendo la struttura subito diversi crolli.
Sulla costa prospiciente spiccano splendidi arabeschi creati da diversi minerali.
Torniamo a Carloforte, dove ammiriamo le saline con i fenicotteri e lo splendore della città. Tra le viuzze risuona il dialetto tabarchino che ci fa sentire già a casa.
Acquistiamo il prezioso tonno, ci facciamo fotografare sotto l’Archiotto, saliamo alla Porta Leone passando davanti alla casa di Vittorio Porcile, valoroso comandante della Regia Marina Sarda. Infine ci godiamo una supercena a base di… tonno, ovviamente!
IL FALCO DELLA REGINA
L’Oasi LIPU di Carloforte è stata creata nell’habitat ideale per il falco della regina. Questo migratore arriva in Sardegna in primavera, al termine di un viaggio che inizia sulle coste orientali dell’Africa e del Madagascar. Sull’Isola di San Pietro nidifica alla fine dell’estate, in concomitanza con l’arrivo degli uccelli che dal Nord Europa migrano verso i paesi del Mediterraneo. Studi recenti sulla migrazione del rapace, condotti con la telemetria satellitare, affermano che i falchi che nidificano nelle Isole Baleari e in Sardegna a fine autunno rientrano in Madagascar sorvolando il deserto del Sahara, con un “viaggio” di oltre 10.000 chilometri, mentre quelli che si riproducono nel Mediterraneo Orientale scelgono la rotta del Canale di Suez.
FLASH FINALE
È arrivato il momento del ritorno. A bordo dell’aereo possiamo vedere solo con gli occhi del cuore e con i ricordi più vivi nella mente l’angolo di Sardegna che abbiamo visitato.
Siamo tutti concordi nel definire il suo paesaggio selvaggio e inaspettato, un paradiso non sfregiato dall’uomo. I panorami, sia della costa sia dell’entroterra, infiniti, vari e di grande bellezza, riescono a infondere pace interiore. I colori del mare, delle grotte, delle rocce erose, della macchia mediterranea fiorita sono variegati e splendidi, anche per via degli accostamenti contrastanti. La realtà poco conosciuta delle miniere, per quanto disumana e spesso tragica, affratella e fa comprendere il carattere del popolo sardo. A casa portiamo con noi pure la lezione della piccola pianta di elicriso che, mentre pare sorridere coi suoi modesti fiorellini, è impegnata a bonificare con le radici il terreno invaso dagli scarti di miniera. Infine, a costo di essere banali vogliamo sottolineare con entusiasmo anche le cene “di mare” e “di terra”. L’apoteosi del gusto: indimenticabili!
Arrivederci, bella Sardegna!